L’Agenda Climatica

L'Agenda climatica

di Fridays for Future Italia

5 punti per affrontare la crisi climatica e sociale. 
A partire da ora.

Fridays for Future è nato per chiedere alla politica e alle istituzioni di ascoltare la ricerca scientifica, indicando che le misure per contrastare la crisi climatica esistevano, erano solo da implementare. 

Nel 2020, con la campagna Ritorno al Futuro, abbiamo deciso di presentare le nostre soluzioni, di fronte all’incapacità della politica di agire in modo efficace. Quel documento è ancora in gran parte valido, ma l’attuale campagna elettorale ci obbliga a ripeterci, a dire che l’unica agenda possibile è quella climatica.

Ci troviamo in un momento di profonda crisi dei partiti e delle istituzioni. La partecipazione alla vita politica è ai minimi storici: l’unico momento in cui ci viene chiesto di esprimerci sono le elezioni. Arriviamo in cabina elettorale come davanti a una vetrina da cui scegliere il prodotto che più ci convince, già confezionato.

Volete il nostro voto ma ignorate la nostra voce. La politica dei partiti si è presa tutto il palcoscenico e la facoltà di scegliere cosa è meglio per il paese, ma è lontana dalle istanze e dalle preoccupazioni delle persone che dicono di rappresentare. Non potete rappresentarci se non ci ascoltate.

L’astensionismo in aumento lancia un segnale, ancora una volta i partiti non stanno centrando il bersaglio, si fanno tante promesse ma mancano risposte serie ai problemi più urgenti: crisi climatica, disuguaglianze, salari bassi e lavoro insicuro, accoglienza, disparità, etc. 

Promettono di occuparsi di un fantomatico “domani”, mentre le crisi imperversano già oggi. Si parla di gas come fonte di transizione, rimandando ancora una volta le soluzioni.

La crisi climatica è un fenomeno globale che si manifesta però a livello locale. Secondo lo slogan «Think global, act local»,  dobbiamo rivolgere lo sguardo verso quella grande fetta della popolazione che ricerca con fatica il suo diritto alla partecipazione attiva ogni giorno, per restituire il potere decisionale alle comunità territoriali e alla società civile.

Presentiamo quindi le nostre proposte su 5 temi, attuabili nell’immediato futuro, che avrebbero un enorme impatto nell’affrontare la crisi climatica e sociale in Italia. Non sono proposte esaustive: esistono molti altri ambiti, interconnessi tra loro, che si dovrebbero affrontare. Molti di essi sono presenti in Ritorno al Futuro: il settore agroalimentare, i MAPA (Most Affected People and Areas) del mondo e del nostro Paese, l’economia circolare, la gestione dei rifiuti, la tutela del territorio, solo per citarne alcuni. La crisi climatica è estremamente complessa e tocca ogni ambito economico e sociale.

Ma non ci si può nascondere dietro alla complessità, usandola come scusa per rimandare l’implementazione delle misure necessarie. Per questo vogliamo partire da queste proposte, con la consapevolezza che devono essere solo il punto di partenza.

1. Trasporti e mobilità

Il settore dei trasporti è responsabile in Italia del 25% delle emissioni di gas a effetto serra (dati 2019). Con circa 40 milioni di automobili circolanti, l’Italia è seconda in Europa per auto pro-capite.

Di fronte a questa situazione, la principale misura presente finora nel dibattito pubblico è stata la sostituzione dei veicoli a combustione con quelli elettrici. Un processo utile ma ampiamente insufficiente: convertire l’intero parco auto nazionale ridurrebbe le emissioni, ma non risolverebbe molti altri problemi legati alla mobilità, oltre a necessitare di un’enorme quantità di batterie.

Per questo la soluzione non è semplicemente l’auto elettrica: si devono avere molte meno auto, ma elettriche. Si deve ripensare il modello della mobilità in Italia, al momento fondato sul possesso di un’automobile personale, per lo più spesso utilizzata da una persona alla volta.

Riduzione dei costi e potenziamento dei trasporti pubblici

Un sistema di trasporto pubblico accessibile ed efficiente ridurrebbe le emissioni e garantirebbe il diritto alla mobilità. Proponiamo quindi:

  • Treni regionali e trasporto pubblico locale gratuiti.
  • Sconto del 75% sul costo dei biglietti Intercity.
  • Sconto del 50% sul costo dei biglietti Alta Velocità Frecciarossa e Frecciabianca.

Rendere i trasporti più economicamente accessibili, però, si rivelerebbe inefficace in un contesto di servizio scadente o inesistente. Se il treno o l’autobus non passa o arriva in forte ritardo, l’automobile resterà l’unica soluzione per spostarsi.

Per questo sono necessari forti investimenti, per creare una rete più capillare, affidabile, efficiente e sicura. Servono più linee di treni e autobus, più mezzi in servizio e l’aggiornamento di quelli più datati e inquinanti. Utilizzare il trasporto pubblico deve diventare una comodità, non un ulteriore problema nella vita dei/delle pendolari. Soprattutto per quanto riguarda i contesti urbani, si deve facilitare la circolazione delle biciclette, investendo in piani urbanistici che diano sufficiente spazio a questo mezzo di trasporto.

Fondamentale è anche l’integrazione tra i diversi mezzi e le diverse linee, coordinando gli orari per permettere agli utenti di sfruttare coincidenze utili.

Costo riduzione biglietti: meno di 7 miliardi di euro all’anno, dato che già ora gli introiti provenienti dai biglietti rappresentano una parte minoritaria del bilancio delle aziende di trasporti.
Costo potenziamento trasporti pubblici: 30 miliardi distribuiti fra nuovo personale, nuovi mezzi e infrastrutture.

Stop dei voli a breve percorrenza e dei voli privati

Un altro settore fortemente inquinante è quello dell’aviazione, che a livello globale è responsabile di circa il 6% delle emissioni climalteranti. Le compagnie aeree beneficiano di tassazioni ridicole o inesistenti sui carburanti, all’interno di un sistema che ha portato a fare volare decine di migliaia di aerei vuoti durante la pandemia, per conservare gli slot negli aeroporti.

I voli di linea nazionali e a breve percorrenza devono, ove possibile, essere completamente sostituiti dai treni ad alta velocità. Già attualmente, molte viaggiatrici e viaggiatori, per certe tratte, stanno preferendo sempre più il trasporto su rotaia, e molte linee aeree brevi sono state dismesse. Rimangono comunque attivi diversi voli giornalieri in tratte come la Roma-Milano. È importante, però, che gli slot aeroportuali vacanti non vengano occupati da voli a lunga percorrenza, ancora più inquinanti.

I voli privati rappresentano un privilegio per pochi e una fonte inutile di emissioni. Sono uno dei simboli di un sistema che permette all’1% più ricco della popolazione globale di inquinare il doppio della metà più povera (dati Oxfam).  Un volo di un jet privato emette in un’ora tanta CO2 quanto un europeo emette mediamente in 3 mesi (dati Transport & Environment).

Come se non bastasse, i voli privati sono aumentati notevolmente durante il periodo COVID-19. Vietarli, a eccezione dei casi in cui sono utilizzati a scopi sanitari, diminuirebbe l’inquinamento senza conseguenze sostanziali sulla grandissima maggioranza della società.

Frequent Flyer Levy

Riprendiamo la proposta, presentata nel Regno Unito, di una Frequent Flyer Levy, una tassazione crescente all’aumento del numero di voli effettuati da una persona. Un volo ogni anno sarebbe esente da imposte, per tutelare chi vola raramente, mentre il decimo o il quindicesimo volo sarebbero fortemente tassati, in modo da scoraggiare chi vola in modo abitudinario.

Inoltre, si otterrebbe un aumento di entrate statali. Non esistono ancora dati per l’Italia, ma si stima che nel Regno Unito si genererebbero circa 5 miliardi di sterline all’anno per le casse dello Stato.

2. Energia

Per una transizione energetica compatibile con il contenimento dell’aumento della temperatura globale sotto gli 1.5 C°, è necessario procedere alla conversione di tutto il settore energetico alle fonti rinnovabili con un tasso di riduzione delle emissioni superiore al 10% annuo.

E’ perciò necessario vietare qualunque nuovo progetto legato alle fonti fossili, con una attenzione rivolta alle industrie energetiche che contribuiscono al 24% delle emissioni italiane, e ridurre progressivamente il loro utilizzo fino ad azzerarlo entro il 2035. Ciò comprende i nuovi progetti di rigassificatori, gasdotti o qualunque infrastruttura fossile prevista a livello nazionale o dai più recenti piani energetici europei.

A questo scopo è imperativo procedere anche alla conversione dei sussidi ambientalmente dannosi, accresciuti durante la crisi energetica, nell’arco di pochi anni, così come introdurre vincoli annui stringenti per la produzione da fonti fossili per tutte le aziende energetiche.

Inoltre, è necessario coordinare a livello nazionale la pianificazione di interventi di efficientamento e di sufficienza energetica in tutti i settori chiave per una contemporanea riduzione dei consumi.

Pianificazione di 8000 comunità energetiche per auto-produzione locale del 50% di energia elettrica

Ci troviamo in momento cruciale, in cui è necessario costruire un nuovo modello energetico basato sulle energie rinnovabili, in gran parte decentralizzato, flessibile e di proprietà della comunità.

L’energia comunitaria è un modo pratico per affrontare le molteplici crisi sistemiche di oggi. Con l’energia nelle mani delle persone e delle comunità possiamo affrontare le sfide climatiche, ecologiche e sociali collettivamente e in modo complementare. L’energia comunitaria rivitalizza l’economia locale, facilitando il raggiungimento di questo obiettivo. 

Al centro della nostra proposta si colloca la CERS (comunità energetica rinnovabile solidale). Se ne dovranno creare una per ogni Comune nei prossimi 6 anni, con una potenza media di 10 MW. Dovranno essere finanziate pubblicamente attraverso i Comuni, ma la loro gestione è da affidare ai cittadini e alle cittadine, con associazioni o cooperative da formare in maniera partecipata.

Per la loro realizzazione è necessario riformare i gestori pubblici dell’energia e definire norme sui rischi di frammentazione dei mega progetti, per evitare una concentrazione eccessiva di progetti sul territorio.

Le comunità energetiche avrebbero molteplici benefici: abbassamento dei costi dell’elettricità, creazione di posti di lavoro, sviluppo delle tecnologie rinnovabili, promozione di comunità resilienti, rafforzamento del tessuto sociale, riduzione dei consumi energetici e delle emissioni (circa 200 Mton di CO2 in 6 anni), riduzione, attraverso l’autoconsumo, del fabbisogno della rete elettrica in termini di trasporto e distribuzione dell’energia, democratizzazione e decentramento del sistema energetico.

Costo annuo medio comunità energetiche:  15-20 miliardi.

Tassa del 100% sugli extra-profitti delle aziende e tetto ai prezzi dell’energia non domestica

Dati gli attuali extra-profitti del settore energetico, chiediamo di tassarli al 100% e di imporre anche un tetto ai prezzi. Entrambe le misure saranno funzionali alla lotta all’inflazione che ha tuttora come suo volano principale il costo dell’energia. La tassa genererà  un gettito complessivo per la stima di maggio (MEF) di 40 miliardi,  che potrà essere usato per sostenere le famiglie.

La tesi secondo cui l’aumento dei costi è dovuto  all’aumento delle materie prime, ma soprattutto all’aumento dei costi dell’energia, è insufficiente: la maggior parte dei contratti sul gas è a lungo termine, quindi la quota dovuta ai costi spot è molto minore rispetto ai guadagni ottenuti durante la crisi energetica.

Il tetto dei prezzi risulta invece necessario per garantire al settore non domestico costi accessibili nel medio periodo, abbassare l’inflazione e arginare la speculazione, che ha portato ulteriori rincari sui costi finali dell’energia. Si deve infatti riconoscere che l’aumento dell’inflazione non è stato guidato da un mercato del lavoro surriscaldato, ma da margini di profitto aziendali più elevati e da colli di bottiglia della catena di approvvigionamento. Al contrario, aumenti molto rapidi e bruschi dei tassi di interesse non sono probabilmente necessari per frenare le pressioni inflazionistiche a medio termine.

3. Lavoro

La partecipazione politica è un privilegio di chi non viene sfiancatə dal proprio lavoro ogni giorno. Il potere contrattuale di lavoratrici e lavoratori è stato aggredito da cambiamenti istituzionali che, specialmente dagli anni ‘70 in poi, hanno portato a un aumento della disoccupazione e della povertà. Alla crescita economica e produttiva non è corrisposto un aumento dei salari, mentre gli orari di lavoro sono diventati sempre più totalizzanti, e le condizioni di lavoro precarie. Se la crisi climatica rischia di farci vedere la fine del mondo come lo conosciamo, per molti/e ciò che non si vede è la fine del mese.

Per convertire l’attuale sistema produttivo, sarà necessario che la decisione su come, quanto, ma soprattutto se produrre passi anche per chi lavora. Dovremo inoltre liberare il tempo dal lavoro e il lavoro dal ricatto della disoccupazione, per una giustizia climatica, sociale e lavorativa.

Riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario

La riduzione dell’orario di lavoro, da 40 ore settimanali a 32, potrebbe contribuire ad adattare l’economia alle esigenze della società e dell’ambiente, anziché sottomettere la società e l’ambiente alle esigenze dell’economia.

Una settimana lavorativa corta consentirebbe di affrontare una serie di problemi urgenti e interconnessi. Tra questi, il sovraccarico di lavoro, la disoccupazione, il consumo eccessivo, le elevate emissioni di carbonio, il basso livello di benessere, le radicate disuguaglianze.

La riduzione può assumere varie forme: riduzione giornaliera nella settimana (settimana breve) o nel mese, ma la forma migliore per redistribuire tutto il lavoro, anche quello di cura, è la riduzione oraria giornaliera. Una possibilità potrebbe essere proporla come sperimentazione in un settore specifico (ad esempio RFI, Rete Ferroviaria Italiana, con un costo complessivo di circa 26 milioni di euro) oppure applicarla a proposte ambiziose riguardo politiche di assunzione nella pubblica amministrazione. Sarebbe anche parte delle politiche complementari del job guarantee, trattato in seguito, che beneficerebbe anch’esso di questa misura.

Job Guarantee 

Il Job Guarantee è un programma pubblico, attraverso cui lo Stato si impegna a garantire, per ogni individuo in età lavorativa, l’accesso a un lavoro che sia ben retribuito e sicuro, dotato di tutele sindacali e pieni diritti.

Si tratta di posti di lavoro non strettamente produttivi, ma che realizzano o sostengono  progetti a beneficio della collettività e attenti alla sostenibilità ecologica e all’inclusione sociale, specialmente delle minoranze. Il programma dovrà prevedere un ampio coinvolgimento e partecipazione delle comunità locali, soprattutto di quelle più in difficoltà, nel suggerire e dare priorità ai progetti (fonte).

In un’ottica di liberazione dal tempo di lavoro e passaggio verso un’economia della cura, il Job Guarantee dovrà essere abbinato a proposte come salario minimo legale e settimana lavorativa breve a parità di salario, prevedendo un massimo di 32 ore settimanali lavorative a un salario minimo di 10 euro l’ora. La sua adozione non andrebbe in contrapposizione ma anzi sarebbe complementare alle politiche di sostegno al reddito, di assunzioni nella Pubblica  Amministrazione e di redistribuzione.

I vantaggi di un simile programma comprendono l’eliminazione della disoccupazione involontaria, con lo spostamento di chi è working poor o in sottoccupazione verso un impiego più dignitoso, riducendo il gap salariale tra i diversi settori e le diverse mansioni. L’aumento del numero di persone impiegate può inoltre contribuire al superamento della soglia di povertà per molte famiglie.

Tutto ciò dovrà essere normato da una legge che garantisca la buona gestione del programma evitando la creazione di bad o bullshit jobs oltre a regolarne i finanziamenti.

Costo Job Guarantee: 90 mld. La platea che ne può beneficiare è ampia comprendendo anche parte dei neet e dei working poors. Il costo netto della misura è di 20-25 mld una volta tenuto conto dell’effetto moltiplicatore. I costi dei vari sussidi di disoccupazione vengono invece assorbiti dalla riduzione di orario di lavoro.  Modalità di finanziamento: tramite Cassa Depositi e Prestiti (vedi proposta per renderla banca verde di Stato)

4. Edilizia e povertà energetica

Si stima che oggi in Italia ci siano 9 milioni di individui in povertà relativa e 5 milioni in povertà assoluta, che non possono permettersi una serie di beni essenziali, tra cui quelli energetici. Per chi è in povertà energetica spesso accade che la disponibilità economica vada a supplire in primis alle esigenze alimentari, entrando in conflitto con gli altri bisogni fondamentali. In quest’ottica, è fondamentale promuovere importanti interventi di efficientamento energetico.

Inoltre, sono sicuramente fondamentali e complementari le riduzioni dei consumi di energia primaria all’interno dei cicli industriali di produzione, favorendo l’elettrificazione e l’integrazione di produzione di elettricità da rinnovabili e da idrogeno verde.

Isolamento di tutte le case popolari e di tutti gli edifici scolastici in Italia entro il 2025

Il patrimonio edilizio è il maggiore consumatore unico di energia in Italia, con il 45% del consumo di energia finale e il 39% delle emissioni di gas a effetto serra (il settore civile invece lo è per il 17%). Gli edifici a destinazione d’uso residenziale sono più di 12 milioni, con oltre 31 milioni di abitazioni. Nel 2018 hanno consumato quasi 373 TWh, pari al 28% dei consumi totali di energia finale. Oltre il 60% di tale parco edilizio ha più di 45 anni, ovvero è precedente alla legge n. 3733 del 1976, la prima legge sul risparmio energetico. Gli edifici pubblici e privati non-residenziali, rappresentano il 17% dei consumi totali (coi 225 TWh del 2018) sul territorio italiano.

La misura del Superbonus 110%, giusta idealmente, è stata regressiva e fino a maggio, con una spesa di oltre 30 miliardi, ha finanziato solo 170 mila interventi, che corrispondono a poco più dell’1 per cento delle abitazioni unifamiliari e dei condomini.

Per questo la nostra proposta è di reindirizzare i fondi pubblici partendo proprio dal suo patrimonio. Proponiamo quindi l’efficientamento delle case popolari (con un aumento del loro numero) e degli edifici scolastici. Un efficientamento del 2% del patrimonio residenziale (500k alloggi/ 40mln di m2), porterebbe a un potenziale risparmio annuo di 5,5 TWh. Per quanto riguarda il patrimonio edilizio scolastico (51 000 edifici, pari a 73.2 milioni di m2), il potenziale risparmio  energetico annuo è di 13,5 TWh.

A differenza del Superbonus, andranno in questo caso introdotte misure più stringenti e un controllo sui costi dei materiali e del lavoro, oltre che requisiti tecnici per le imprese che se ne assumeranno l’onere.

L’efficientamento degli edifici porterebbe diversi benefici:

  • Riduzione dei costi di gestione per pubblica amministrazione, cittadini/e e imprese.
  • Miglioramento della qualità degli edifici e della qualità dell’aria al loro interno (l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che la scarsa qualità dell’aria negli ambienti chiusi causi oltre 40 mila decessi all’anno in Italia).
  • Riduzione delle emissioni.
  • Creazione di posti di lavoro (ogni milione di euro investito per incrementare la performance energetica degli edifici contribuisce alla creazione di circa 18 posti di lavoro in UE).

Costo efficientamento case popolari: 15-20 mld, compreso il costo per aumentare il numero di case popolari.
Costo efficientamento scuole: 40-50 mld.

Fornitura di energia gratuita a tutte le famiglie per coprire i bisogni primari

La proposta è di fornire come misura universale una quantità di energia gratuita, cioè sufficiente a coprire le esigenze di base come il riscaldamento, la cucina e l’illuminazione. Questo garantirebbe la sicurezza energetica di cui le persone hanno bisogno, tenendo conto dei bisogni effettivi in relazione all’età, alla salute e all’abitazione. 

Una tale politica invertirebbe l’attuale situazione perversa, in cui le persone pagano meno per unità di energia se ne usano di più, e pagano di più per unità quanto più riducono i consumi.

L’energia sarebbe, in quanto diritto universale, fornita a tutti/e, ma le persone che possono permettersela e che usano molta energia pagherebbero di più, attraverso tariffe più alte per l’energia non necessaria che usano.

Benefici di questa misura:

  • Incentiverebbe il governo a investire finalmente in programmi di isolamento su larga scala (vedi sezione precedente), perché sarebbe responsabile di soddisfare le esigenze, invece di caricare i costi aggiuntivi su persone che non possono permetterselo.
  • Costringerebbe il governo a sostenere concretamente le energie rinnovabili, che producono energia a un costo molto minore delle fonti fossili, modificando anche il meccanismo di formazione dei prezzi legato ai costi spot.
  • Incentiverebbe tutti/e noi a ridurre il nostro consumo a ciò che è necessario.

Costo fornitura energia consumi base: 17-22 mld, essendo la platea di 31 milioni di abitazioni, con un consumo medio di circa 2700kwh/y e i fabbisogni primari annui coperti dai 3000 ai 6000 kwh. Ciò che determina la variabilità del costo è il prezzo dell’energia da riportare sui 0,2€/kwh.

5. Acqua

La crisi idrica degli ultimi mesi ha messo in luce ciò che si prevedeva da tempo: i cambiamenti climatici renderanno l’acqua una materia prima sempre più preziosa. Da Nord a Sud, molti comuni e regioni hanno dichiarato lo stato di emergenza, per far fronte alla scarsità d’acqua.

Diventa quindi prioritario ridurre i consumi e gli sprechi, ma è assurdo che le prime proposte includano misure ridicole come evitare l’innaffiamento dei parchi. Stiamo guardando il dito e ignorando la luna. 

Manutenzione rete idrica

Il principale problema sta nelle pessime condizioni della rete di distribuzione, in particolare del settore civile: il report Istat sull’acqua ci dice che le perdite della rete idrica ammontano al 42%, sprecando 156 litri al giorno per abitante, con forti disparità tra Nord, Sud e Isole. Ignorare tutto ciò è immorale, anti-ecologico e anti-economico.

Si deve agire immediatamente per ridurre le perdite (che in alcune provincie raggiungono l’80%), accelerando il rinnovo della rete, particolarmente antiquata. Al ritmo attuale servirebbero più di 250 anni per sostituire l’intera rete (dati FAI).

Acqua pubblica

Lo stato pessimo della rete idrica è legato a doppio filo alle modalità di gestione. Il referendum del 2011 ha sancito che l’acqua sarebbe dovuta rimanere un bene pubblico, su cui non si sarebbe più potuto fare profitto. Un referendum tradito, dato che attualmente i gestori continuano a remunerare gli investimenti privati, le tariffe sono aumentate del 90% e non c’è obbligo di reinvestire sulla manutenzione.

Le risorse stanziate con il PNRR sono insufficienti e non cambiano il modello di gestione, quello della società per azioni che produce utili. È essenziale quindi un nuovo modello, un vero servizio pubblico, in cui non si ricercano utili, mantenendo costi bassi e reinvestendo le entrate sulla manutenzione. Serve quindi una rimunicipalizzazione totale dell’acqua.

L’acqua è una risorsa essenziale e un patrimonio della collettività, per questo deve essere protetta e messa a disposizione di tutti e tutte, a prezzi contenuti e senza discriminazioni geografiche.

Appendice

Copertura economica delle proposte attraverso la lotta alle disuguaglianze

Le entrate tributarie del 2021 ammontano a circa 496,09 miliardi di euro. 

Il sistema tributario italiano è un elemento portante del finanziamento della spesa pubblica e di conseguenza è fondamentale per la copertura dell’erogazione dei fondi per i servizi essenziali. 

In tal senso è importante citare che dalle imposte dirette (IRPEF, IRES, ritenute sugli utili distribuiti dalle persone giuridiche etc…) provengono 269,806 miliardi di euro. Il solo gettito IRPEF, sempre nell’anno 2021, è stato pari a 198,203 miliardi di euro. 

Irpef

Analisi

Il sistema IRPEF si basa su 3 elementi cardine: la base imponibile, la scala delle aliquote e le detrazioni per famiglie e imprese. A seguito della modifica della legge di Bilancio 2022 (art. 1, comma 2, lettera a) vi è stata una riduzione delle aliquote IRPEF, con una diminuzione degli scaglioni che sono dunque passati da 5 a 4. 

Di primaria importanza è l’aumento della progressività fiscale: l’attuale sistema tributario italiano risulta essere, secondo uno studio condotto da Guzzardi, Palagi, Roventini e Santoro, regressivo per il 5% dei/delle contribuenti più ricchi/e. Sembrerebbe controintuitivo, ma l’aliquota minore è spiegabile in virtù del fatto che, nel caso delle persone più ricche, vi è una maggiore proporzione del reddito dovuta alle rendite finanziarie e alle locazioni immobiliari che godono di un regime fiscale vantaggioso. Riscontri simili sono individuabili in studi condotti dagli economisti Piketty e Saez, che evidenziano come la progressività dei sistemi fiscali sia messa a dura prova dall’esistenza di regimi fiscali che avvantaggiano i/le contribuenti più ricchi/e. 

Proposte

  • Rimodulazione aliquote IRPEF:
    • Riduzione dell’aliquota per i redditi medio-bassi, ad oggi l’aliquota più bassa è del 23% per i redditi fino a 15.000 euro. Secondo i dati del MEF ci sono 14,5 milioni di italianə che dichiarano redditi inferiori ai 15.000 euro. 
    • Aumento degli scaglioni IRPEF con annesso allargamento della base imponibile, in questo modo il gettito fiscale non risentirebbe della riduzione dell’aliquota per i redditi medio-bassi.
    • Aliquota al 60% sui redditi oltre i 300.000 euro, con un effetto stimato sull’aumento del gettito fiscale di 2,1 miliardi di euro.

      L’obiettivo è tuttavia di arrivare a un’ultima aliquota IRPEF al 100%, imponendo così de facto un reddito massimo, raggiungibile mediante la tassazione totale della parte eccedente il tetto massimo. Friends of the Earth Europe, propone, che il reddito massimo sia pari a venti volte il reddito minimo. Il reddito minimo viene solitamente stabilito intorno al 50% del reddito medio lordo o 60% del reddito mediano lordo (reddito medio lordo italiano = 29.440), quindi il reddito massimo italiano sarebbe pari a circa 294.000 euro. In Italia, i/le contribuenti con reddito oltre i 300.000 euro a cui verrebbe applicata un’aliquota IRPEF al 100%, sarebbero 40.841. Gettito previsto: 2,1 miliardi di euro.

  • Aumento delle aliquote per le rendite finanziarie (attualmente 26%) e per i redditi da locazioni immobiliari (ad ora 10% per i canoni di locazione concordati). Eliminazione del regime di tassazione separata per le rendite finanziarie, superando l’aliquota al 26% (tranne sui titoli di Stato), facendole così rientrare all’interno della base imponibile IRPEF.  Gettito previsto: 2,4 miliardi di euro.
  • Eliminazione della cedolare secca sul mercato degli affitti (oggi al 21%), essa è infatti un’aliquota che determinata una situazione di vantaggio favorendo rendite speculative. Gettito previsto: 1 miliardo di euro 

Patrimoni

Analisi

La percentuale di patrimonio detenuta dall’1% più ricco dei/delle contribuenti è passata dal 16% (dato del 1995) al 22% (dato del 2016). Per lo 0.01% più ricco dei/delle contribuenti (5,000 individui) la ricchezza detenuta è triplicata, passando dall’1.8% al 5%. Al contrario, il 50% più povero ha visto il proprio patrimonio medio netto abbassarsi dell’80% nello stesso periodo (1995-2016). 

Non solo, i contribuenti più ricchi/e ricavano la maggior parte del loro portfolio da asset finanziari (che non vengono efficacemente tassati in virtù della presenza di una singola aliquota per le rendite finanziarie), mentre nel caso del 50% più povero della popolazione la quasi totalità del patrimonio deriva da conti correnti, spesso controbilanciati da debiti (fonte: studio condotto da Acciari, Alvaredo e Morelli).

Proposta

Tassa sui ricchi straordinaria:

  • del 5% sopra il miliardo
  • dello 0,5% per patrimoni fra 1 e 5 milioni
  • del 1% per patrimoni fra 5 e 50 milioni
  • del 2% per patrimoni fra 50 milioni e 1 miliardi

L’introito previsto è di 25 miliardi di euro.

Successioni

Analisi

Un’ulteriore misura, adottabile per reperire risorse che consentano di aumentare la spesa pubblica e al contempo produrre un effetto redistributivo della ricchezza, è quella dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni.

Attualmente le aliquote e le franchigie stabilite per l’imposta sulle successioni e donazioni sono:

  • del 4% per i trasferimenti effettuati in favore del coniuge o di parenti in linea retta (ascendenti e discendenti), da applicare sul valore complessivo netto se supera  la quota di 1 milione di euro;
  • del 6% per i trasferimenti in favore di fratelli o sorelle, da applicare sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, 100.000 euro;
  • del 6% per i trasferimenti in favore di altri parenti fino al quarto grado, degli affini in linea collaterale fino al terzo grado, da applicare sul valore complessivo netto trasferito, senza applicazione di alcuna franchigia;
  • dell’8%, per i trasferimenti in favore di tutti gli altri soggetti da applicare sul valore complessivo netto trasferito, senza applicazione di alcuna franchigia.

Le eredità e le donazioni hanno un ruolo centrale tra le cause della concentrazione della ricchezza: da un lato una gran parte dei beni oggetto di successione non sono più soggetti a tassazione oggi, a causa della franchigia di 1 milione di euro per le successioni in linea diretta; dall’altro lato il prelievo fiscale medio su successioni e donazioni si è sostanzialmente ridotto negli ultimi vent’anni, nuocendo gravemente alla progressività del sistema.

I dati Ocse del 2018 inoltre possono dare la misura degli effetti negativi dell’alleggerimento della pressione fiscale sulle successioni, frutto di una grandiosa stagione contro-riformatrice (costruita sia dal centrodestra che dal centrosinistra). 

Nell’anno di riferimento l’Italia raccoglieva un gettito di 820 milioni (corrispondente allo 0.05% del Pil); la Francia di 14,3 miliardi di euro (0,61% del Pil); la Spagna di 2,7 miliardi di euro (0,22% del Pil); la Germania 6,8 miliardi di euro (0,2% del Pil); il Regno Unito 5,9 miliardi di euro – secondo il tasso di cambio del 2018 (0,25% del Pil).

Proposta

Per superare la condizione di paradiso fiscale delle successioni, un primo importante riferimento e punto di partenza per l’Italia è la proposta di “imposta sui vantaggi ricevuti” formulata dal Forum Diseguaglianze e Diversità nel 2019. Si tratta di un’imposta che unificherebbe il prelievo sulle successioni a quello sulle donazioni ricevute nel corso della vita, per evitare che la donazione inter vivos sia un mezzo per sottrarre valore all’imponibile al momento della successione. Inoltre, unificherebbe le tipologie di eredi e beneficiari/e.

Proponiamo 3 aliquote marginali, con una franchigia di esenzione fino a 500 mila euro:

  • 5% tra 500.000 e 1 milione di euro.
  • 25% tra 1 milione e 5 milioni di euro.
  • 50% oltre i 5 milioni di euro.

L’elevata soglia di esenzione e l’aliquota marginale del 5% fino al milione la rendono una imposta diretta a colpire i grandi patrimoni, escludendo il ceto medio. 

L’aumento del gettito stimato, tenendo conto delle molte variabili in gioco (valori catastali degli immobili, evasione o elusione fiscale etc.), sarebbe compreso fra 1,4 e 5,2 miliardi l’anno. 

Elusione fiscale

Analisi 

L’incapacità di far pagare le tasse alle multinazionali e alle persone ultraricche, che possono muovere i propri capitali con estrema facilità, determina che la fiscalità generale si appoggi quasi interamente sui redditi di lavoro, più difficilmente eludibili. La sola Italia perde annualmente, grazie alla presenza di regimi fiscali vantaggiosi nella stessa Unione Europea, circa 12 miliardi di dollari. Al suo interno vi sono infatti paesi come l’Olanda, il Lussemburgo e l’Irlanda, dove, grazie ad aliquote particolarmente basse, vengono guadagnati rispettivamente 26,6 miliardi, 9,3 miliardi e 6 miliardi di dollari. 

Proposta 

Urge una riscrittura delle regole internazionali ed europee. L’Europa è responsabile del 43,94% delle perdite globali di tasse e 100 miliardi di dollari sono le tasse evase dalle multinazionali grazie ai regimi fiscali europei vantaggiosi.  Agendo a livello europeo si potrebbe garantire un adeguato global minimum corporate tax rate e ridurre il tax drain effettuato dai Paesi membri Ue che prevedono aliquote particolarmente basse per le multinazionali. 

Una misura chiave è anche tassare le multinazionali laddove svolgono la loro attività economica, al fine di scoraggiare la costruzione di aziende fantasma (holding) presenti in paradisi fiscali.

Aumento gettito stimato: 10 miliardi di euro.

Ulteriori fonti di entrate

Web Tax: aliquota del 30% per le società con ricavi annui superiori ai 500 milioni di euro e di ricavi da servizi digitali superiori ai 2,5 milioni di euro. 

Introito previsto: 8 miliardi di euro.

Tobin Tax: tassa con aliquota differenziata dallo 0,1% allo 0,8%, a seconda della natura più o meno speculativa dello strumento finanziario utilizzato, da applicare a tutte le transazioni finanziarie (scambi di azioni, obbligazioni, scambi valutari e contratti derivati) sia sui mercati regolamentati che su cosiddetti over the counter (OTC). 

Introito previsto: 4 miliardi di euro.

Paperoniale: tassa straordinaria del 3% su tutti i portafogli finanziari con valore superiore a 880.000 euro. La tassa rimarrebbe in vigore un anno mentre diventa operativa la riforma fiscale progressiva che elimini l’aliquota fissa del 26% e inserisca la rendita finanziaria nell’imponibile Irpef.

Introito previsto: 10 miliardi di euro.

Drastica riduzione delle spese militari

  • Fine di tutte le missioni militari all’estero, nonché di ogni fornitura militare a Paesi che violano i diritti umani e il diritto internazionale. Il risparmio previsto è di 1,5 miliardi;
  • Riduzione strutturale del 30% delle spese militari con blocco dei programmi di riarmo riportando la spesa militare dal 2% del PIL al 1,4% (percentuale anno 2020). Il risparmio previsto a regime è di 11,4 miliardi.

Il totale sarebbe di 12,9 miliardi

Cancellazione delle grandi e piccole opere inutili e dannose:  cancellazione delle grandi e piccole opere climalteranti, nocive per la salute, devastanti dal punto di vista ambientale e annoverabili tra le cause del dissesto idrogeologico, già osteggiate dalle comunità territoriali coinvolte.

Risparmio previsto: 30 miliardi.

Conversione sussidi ambientalmente dannosi: eliminazione entro il 2025 i sussidi per il mondo delle trivellazioni, i fondi per la ricerca su gas, carbone e petrolio, le agevolazioni fiscali per le auto aziendali, il diverso trattamento fiscale tra benzina gasolio, gpl e metano, il Capacity Market per le centrali a gas e l’accesso al superbonus per le caldaie a gas.

Risparmio previsto: 18,3 miliardi.

Utilizzare Cassa Depositi e Prestiti: utilizzare, per tutti gli investimenti individuati per i servizi universali di base e per il programma di lavoro garantito sulla base di criteri di trasparenza e sostenibilità, prestiti a tasso zero attraverso Cassa Depositi e Prestiti, che attualmente gestisce 265 miliardi di risparmi postali conferiti da 22 milioni di cittadini. Fondi accessibili: 72,4 miliardi.

Tabella costi e coperture riassuntiva

 Costi (mld)Gettito (mld)
Trasporti  
Gratuità (treni + tpl) + potenziamento (infrastrutture + personale)7 + 30 
Frequent Flyer Levy 2-3
Energia  
CERS (1 x comune)15-20 
Tassa extraprofitti 40-66
Lavoro  
Settimana brevenon specificato 
Job guarantee90 (20-25 netti) 
Povertà energetica  
Case popolari (entro 2025)15-20 
Scuole (entro 2025)40-50 
Fornitura gratuita17-22 
Acqua  
Manutenzione5 
Rimunicipalizzazione  
Utilizzo utili 5
Tot219-24447- 74
Coperture da lotta alle disuguaglianzeCosti (mld)Gettito (mld)
Patrimoniale 25
Paperoniale (tassa sui portafogli finanziari) 10
Web tax 8
Tobin tax 4
Taglio spese militari 10,8
Opere dannose 30
CDP come banca verde 72,4perlopiù copertura costi lordi di jg
Conversione SAD 18,3
Irpef (rimodulazione scaglioni e  assoggettamento rendite finanziarie) 2,1 + 2,4
Abolizione della cedolare secca 1
Successioni 3-4
Elusione 10 (8,8 da abusi fiscali delle multinazionali)
Tot 197-198
 Costi totaliGettito totale
 219-244 mld244-272 mld

25 agosto 2022

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